Come può uno scoglio – Recensione

“E sta deriva culturale. Ca po ce porta a ghì luntano. Addò te mancherrà assaje o mare e o’viernarì”


“E sta deriva culturale

Ca po ce porta a ghì luntano

Addò te mancherrà assaje o mare e o’viernarì”

(Tommaso Primo, Cavalleggeri è New York)

Faccio una premessa, ieri sera ero solo ed ero indeciso se andare a vedere Come può uno scoglio e Il ragazzo e l’airone (cosa che farò stasera).

Questo perché credo fondamentalmente in due cose: 1) l’indipendenza di pensiero 2) che il cinema può sempre sorprendere. “Come può uno scoglio” non è “il film di Pio e Amedeo”, ma il film di Gennaro Nunziante con Pio e Amedeo. E questo si vede.

Io devo molto a Gennaro. Gli devo tanto perché gran parte della mia cultura – e non solo quella pop – viene dalla TV: da Quelli della notte e Indietro tutta, dalla Gialappa’s e Mai dire Gol. Ma anche da una TV locale, indipendente. Una Tv che sapeva sperimentare. Quella di Teledurazzo e Filomena Coza Depurada. De Il Polpo e Extra Tv. Quella di Toti e Tata, per intenderci. Non solo commedia, ma tanta satira, citazioni musicali altissime, la pubblicità che per la prima volta inizia a parlare lo stesso linguaggio del programma in cui è inserita. Da lì a Checco Zalone, il percorso è fin troppo scontato. Perché, giusto a beneficio di chi non lo sapesse, dietro i film di Luca Medici c’è lui: Gennaro Nunziante.

E per me è un buon motivo per andare al cinema e vedere che storia ha scritto e, anche questa volta, la storia c’è. E si regge bene. Non sono un fan di Pio e Amadeo, ma soprattutto il secondo è dentro il film. Si muove bene, ha i tempi comici, viene pulito dalla volgarità che porta in TV e che non mi piace perché è fuori tempo massimo. Pio, invece non ha i tempi dell’attore. Ci prova, ma resta una macchietta. Il film però non è affatto banale, si lascia guardare dall’inizio alla fine.

Ci sono due o tre trovate geniali, come quella del Juke-box umano in carcere, con Pio costretto a cantare Psycho Killer dei Talking Heads o Ripples dei Genesis insieme ai galeotti, salvo non conoscere O’latitante di Ganni Celeste. Oppure la scena in cui canta Sweet Jane di Lou Reed ad un camorrista e Amedeo prova a salvarlo intonando Tu sì a fine du munno di Angelo Famao (tra l’altro uno dei pezzi preferiti di Andre Onana, l’ex portiere dell’Inter). E ancora la festa “icone pop” con altre grandissime citazioni come quella della foto.

Nota di merito per la colonna sonora, Tommaso Primo – che prima di ieri non conoscevo, colpevolmente – con Cavalleggeri è New York è di livello altissimo.

Si potrebbero dire molte altre del film, su tutte che affronta il tema della famiglia queer come altri hanno provato a fare, non riuscendoci. Gennaro – “con” o “nonostante” Pio e Amedeo – invece ci riesce.

Volutamente non ho letto recensioni fino a ieri, l’ho fatto oggi e mi permetto di scrivere una cosa che non faccio mai: nessuno ha capito tutte le citazioni, i riferimenti a personaggi come Annarella Giudici dei CCCP o a tutti i cantanti de Le orme. Nessuno ha capito la differenza tra “buonismo” e cosa vuol dire essere fratelli oggi, nel 2024.

I film possono piacere o non piacere, gli attori possono essere bravi o meno bravi, ma pensare che la cultura stia solo in un certo tipo di cinema è una cosa che non mi appartiene.

Ora posso andare a vedere Miyazaki tranquillo.

Cistiano Carriero